SPAZI IMMAGINARIESPACE IMAGINAIRE

PHOTOGRAPHYVIDEOINSTALLATIONOBJECT

Spazi immaginari is a personal exhibition featured photography, video and object, chosen and curated by Claudio Cosma, contemporary art’s collector and founder of the Sensus Gallery. The selection aims to provide a transversal approach of my work on the theme of sleep and dreams.

Exhibition : 31-10-2015 to 31-05-2016
Opening and Performance : 30-10-2015
On appointment :
Sensus luoghi per l’Arte Contemporanea
Viale Gramsci 42, 50132 Firenze Italie

L’autoritratto è uno dei soggetti preferiti dall’artista che partendo da se stessa sovrappone al mondo reale e alla sua impossibile perfezione una complessa personale ricostruzione. Questa nuova creazione mescola ma non sovverte quello che dalla vita siamo abituati ad aspettarci, il racconto interno delle singole foto segue una trama apparentemente rassicurante, forte sopratutto della armonia del suo linguaggio formale, che prende in prestito gli stilemi esteriori e glamour delle riviste patinate. Gli scatti della Usdin hanno una durata che coincide col tempo necessario alla narrazione, niente è fuori posto e lo sguardo dell’osservatore compie il suo percorso circolare senza intoppi, tuttavia si avvertono lontani e sottili degli sbalzi di logica, che come nei film comici dove gli attori non ridono, ci lasciano incerti sul primo giudizio mentalmente formatosi. La naturalità sconfina nell’artificio e la totale mancanza di narcisismo nella autoreferenzialità dei soggetti ci fa apparire didattica la pur presente vena di sensualità che avvertiamo immobile e irraggiungibile. Nella serie di autoritratti con materassi, scelti per rappresentare il suo lavoro nella mostra da Sensus, si colgono sentimenti contrastanti sfumanti l’uno nell’altro. Il flusso associativo rimanda per primo alla poeticità delle fiabe, il riferimento a “La principessa sul pisello” è evidente con la sua metafora di irraggiungibile comodità senza la quale non si possa raggiungere il sonno, ma ancora suggeriscono le stesse foto i significati differenti appartenenti a La piccola fiammiferaia, sola, senza possibilità di consolazione e vestita in modo inadeguato alla quale accordiamo forzatamente il nostro rammarico. La successione della serie ci porta dunque a modulare i nostri sentimenti e successivamente nella foto dove la modella indossa una maschera immaginiamo uno strano giuoco di obbligo, di costrizione quasi di velata violenza. La modella rannicchiata ai piedi della pila di materassi ci fa pensare ad una sosta dopo un rimprovero, ad un tentativo impossibile di nascondersi allo spettatore, mentre quella dove una mano copre il volto suggerisce una imminente punizione o il pianto successivo, per arrivare alle immagini dove il corpo disteso si allunga a formare col materasso un lungo orizzonte di attesa dove finalmente si potrà cedere al sonno ristoratore che prelude ai sogni. L’attività simbolica non rimane schiacciata dall’apparire col sembiante del mondo reale, ma si sovrammette a questo spostando l’attenzione dall’ovvietà alla redenzione. Elene Usdin non si preoccupa di stabilire un punto d’intesa con chi guarda, ma dal suo limpido e disarmato modo di mostrarsi, ammantandosi nelle fattezze dell’infanzia, vestita delle stesse camicie da notte che Lewis Carrol faceva indossare alle sue amiche bambine, ci costringe ad immedesimarci nelle storie narrate con le vesti di chi si sia reso responsabile di averle provocate.

Claudio Cosma

SUA MAESTÀ, LA DONNA

A TEXT BY ANGELA SANNA

Con un titolo affine – Son altesse la femme – sul finire del XIX secolo, all’alba di un’emancipazione dei costumi ormai alle porte, Octave Uzanne licenziava il suo libro dedicato alla donna attraverso le epoche, consegnandone così al lettore le mille sfaccettature. Di questo stesso titolo potrebbe fregiarsi, oggi, anche il lavoro di Elene Usdin, artista francese dalle grandi risorse che si muove, con disinvolta bravura, dalla fotografia al video, dalla pubblicità all’illustrazione. Qualunque sia il terreno sondato, Elene conduce una ricerca che esplora con forza immaginativa e humour gli accadimenti, i ricordi, i sogni e la fantasia che animano e agitano la sfera umana, in modo particolare quella femminile. A occupare la scena metamorfica di tanti suoi lavori è, in primis, lei stessa, regina di un harem che si fa preda di un gioco versatile di maschere, travestimento, scambio delle parti. Sotto le mentite spoglie della modella e dell’attrice, Elene rielabora, oltre a favole e ricordi d’infanzia, le immagini di eroine antiche e moderne che lei stessa ricolloca, volta per volta, nella penombra di un’alcova, nella luminosità di un interno, nella natura di un paesaggio. Ecco allora che si avvicendano, tra nudità esplicita e corpo velato, figure come Batwoman, errante e a tratti quasi sonnambula nella foresta rigogliosa, oppure sdraiata sull’erba a rievocare la parte segreta di quel voyeuristico Etant donnés di Marcel Duchamp. Altrove appare la Donna Ragno, sola e avvolta nei fili tenui dai quali prende corpo una ragnatela, quasi un remoto ricordo delle tele e dei fili di grandi e mitiche amatrici come Circe, Arianna, Penelope. In altri casi ancora la presenza femminile – o talvolta maschile – può integrarsi con oggetti di arredamento o circondarsi di elementi favolistici come vegetali di stoffa e pile di materassi spogli che fungono da letto, parete, e perfino da sandwich. In molte di queste immagini l’artista lascia trapelare, con sottile ironia, una sensibilità sì lontana dal femminismo più aggressivo, ma comunque incline a fustigare la moralità e l’autorità erette nei secoli da una società conformista e repressiva. Così è, per esempio, il riferimento ricorrente all’intimità della donna, riproposta attraverso pose e rituali enigmatici o velatamente onanistici per poi sconfinare nel sonno calmo, inquieto o liberatorio di tante potenziali Lolite, Vergini, Salomè. Un mondo che non sembra del tutto insensibile a quello di artiste più celebri come Annette Messager, Louise Bourgeois, Claude Cahun, Sophie Calle, per citarne solo alcune, dove converge quella selva di stati d’animo legati alla trasgressione, alla conflittualità, alla sofferenza, al lutto, al desiderio, all’ambiguità, all’affermazione di sé. Le incursioni di Elene nel regno femminile possono spingersi anche oltre, in un percorso a ritroso, lungo una galleria di ritratti muliebri illustri. Su questa scia è nata la serie Femmes d’intérieur, ritratti rivisitati e decontestualizzati di dame – note o ignote – consacrate da maestri come Bronzino, Velázquez, Ingres, Raffaello, Ghirlandaio, Picasso. Frutto di accurate elaborazioni pittoriche su immagini fotografiche, queste Femmes d’intérieur – Eleonora di Toledo, Giovanna Tornabuoni, la Fornarina e altre ancora – conservano le loro sembianze ma appaiono estrapolate dal contesto pittorico che ne connotava un tempo la dinastia, la classe sociale, l’universo familiare. Elene si riappropria di queste effigi per inserirle in ambienti casalinghi coevi, in interni diroccati o in paesaggi marini che alludono tanto alla donna ingabbiata nella quotidianità domestica quanto alla trasformazione crescente di valori tradizionali come la casa, la famiglia, la genitorialità, la divisione dei ruoli. In queste immagini sembra però celarsi anche un vago sapore di libertà che affranca il ritratto da quell’ideale rinascimentale che lo rendeva imago sostitutiva dell’oggetto del desiderio e che colmava l’assenza di chi era lontano. Se Elene si dedica con passione e competenza alla fotografia, il suo interesse per il video non è meno fecondo. Nel ricco florilegio dei suoi cortometraggi risplende, tra gli altri, un piccolo gioiello da lei realizzato per alcuni alberghi di lusso, la serie di video Les impatiences, ognuno dei quali incentrato su una donna di statura storica: Juliette Récamier, Simone de Beauvoir, George Sand, Joséphine de Bauharnais, Isadora Duncan. Personalità, queste ultime, da lei stessa reinventate e incarnate attraverso abiti, acconciature e atteggiamenti studiati ad hoc, e chiamate a trascorrere la notte in una lussuosa camera d’albergo nell’atmosfera inquieta del sogno e dell’insonnia. Briosamente ispirate al cinema muto e affiancate da sonorità, musiche e canzoni giocosamente distorte, talora intercalate da voci infantili, queste visioni intrigano e divertono. “Si je pouvais me réveiller à ses côtés”, “Je rêve d’amour dans mes nuits”, “Laissez-moi manger ma banane”, “Hé Ho, mais tu dors ou pas ?”, sono alcune delle parole che accompagnano queste signore irrequiete, dai movimenti languidi e meccanici, innocenti e invitanti, secondo ritmi alterni simili a un Ballet mécanique, per citare il cortometraggio di Fernand Léger, o alle movenze libertine, in vaporoso subbuglio, delle femmine o pulzelle di Boucher e Fragonard. Tra vesti che si ribaltano, arti che si scoprono, stoffe che si avvolgono, queste scene si rendono accessibili all’occhio curioso di ogni voyeur. Tale privilegio è concesso anche al maschio, figura rara nel lavoro di Elene, che compare qua e là, lasciandosi camuffare sotto lampade, tatuaggi, abiti improbabili, o evidenziandosi sul confine tra femminilità e mascolinità. E’ quanto si può vedere anche nell’immagine fotografica di una donna longilinea indossante un fallo posticcio di colore rosa, protuberante sex toy e simbolo dell’attacco alle convenzioni sociali che negano il sempre più frequente sconfinamento tra i sessi. Questa condizione di ambiguità connota anche la donna-centauro di Elene, sostituto femminile di un antico simbolo mascolino ora trasformato in una bella addormentata sul divano che mette a riposo la contrapposizione perenne, propria al centauro, tra istinto e ragione, tra civiltà e bestialità. Canzonatoria, umoristica, ma anche critica, Elene non si spinge in denuncie aggressive ma, anzi, porta delicatezza, malizia e divertissement nelle sue opere, coinvolgendo le sue eroine in continue metamorfosi e mutazioni, tra rivendicazione della libertà, rovesciamento degli stereotipi e rivisitazione dell’ideale femmineo nella società contemporanea.